ALFA 6 – L’Alfa nata vecchia – La PRIMA SERIE – (1979/1983) – Italia

Alfa 6

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Il possente rombo – Clicca Sopra

L’Alfa Romeo Alfa 6 è una berlina prodotta dalla casa automobilistica Alfa Romeo dal 1979 al 1987 nello stabilimento di Arese.

Fu immessa sul mercato con l‘obiettivo di competere con le berline di fascia medio-alta sia italiane che straniere, le prime rappresentate in pratica solo da Lancia, le seconde da numerosi modelli, soprattutto tedeschi come Mercedes-Benz e BMW.

La genesi e la prima serie (dal 04/1979 al 10/1983)

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La progettazione dell’Alfa 6 (codice di progetto “119”) fu avviata alla fine degli anni Sessanta e l’entrata in produzione era prevista per la fine del 1973, poiché la Casa di Arese, dopo l’uscita di scena (nel 1969) dalla poco fortunata 2600, voleva rientrare nel settore delle grandi berline a sei cilindri con un modello che si posizionasse sopra l’Alfetta, in modo da sfidare le ammiraglie del settore sfruttando l’appeal meccanico Alfa, congiunto ad una linea allora attuale e ad allestimenti di alto livello.

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Fu però solo verso la fine del decennio, allorché si attenuarono gli shock petroliferi e sociali che avevano attraversato tutto il periodo 1974-1978, che il management Alfa rispolverò il modello, il cui iter di progettazione e messa in produzione aveva superato il “punto di non ritorno”. L’Alfa 6 poté così vedere la luce nel 1979.

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A quel punto il “nuovo” modello scontava, soprattutto nell’estetica oltre che in alcune soluzioni d’allestimento, lo scarto temporale accumulato, pari ad oltre un lustro. Sostanzialmente contemporaneo al “progetto 116” (quello che portò all’Alfetta del 1972), il “progetto 119” ne riprendeva infatti molti concetti, sia tecnici che estetici.

ALFA 6 – Estetica

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Le linee squadrate e la somiglianza stilistica con l’Alfetta furono gli aspetti che più evidenziavano l’anzianità del progetto, ed appesantivano le linee agli occhi del pubblico – abituato oramai a disegni e stili lanciati verso i patterns degli anni ottanta. Non fu solo l’estetica a frenare le vendite; come già evidenziato, l’impostazione generale del corpo vettura – seppur valido di per sé – risentì di un certo squilibrio nei rapporti dimensionali, soprattutto se messi a confronto con quelli dell’Alfetta:

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a fronte di un aumento del passo di 9 cm, la lunghezza era cresciuta di quasi mezzo metro, fattore che si rifletteva in uno sbalzo posteriore assai pronunciato; peraltro la larghezza era più ampia di soli pochi centimetri e anche questo faceva sì che l’abitabilità interna non fosse al livello oramai raggiunto dalla concorrenza. Se tutto ciò poteva essere accettabile nella prima metà degli anni settanta, non lo era più dieci anni dopo.

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Tecnicamente, seppur non più all’avanguardia, rimaneva valida la meccanica che, seguendo lo schema a motore anteriore longitudinale e trazione posteriore, si distingueva invece per un raffinato “mix” di spunti tipici della Casa. L’Alfa 6 – oltretutto – non era stata dotata dello stesso schema transaxle con cambio al retrotreno in blocco con il differenziale, caratteristici dell’Alfetta; per migliorare lo spazio a disposizione dei passeggeri posteriori, era stato preferito l’impiego di un differenziale “sospeso” come già visto sulla TZ;

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manteneva però le sospensioni posteriore a ponte De Dion con parallelogramma di Watt (per evitare gli scuotimenti laterali sempre criticati sulle vetture a ponte rigido tradizionale) e, all’avantreno, quadrilateri deformabili con elementi elastici a barra di torsione. L’impianto frenante era costituito da quattro freni a disco di cui quelli posteriori entrobordo per ridurre le masse non sospese e quelli anteriori (per la prima volta su un’Alfa di serie) ventilati e con pinze Ate a 4 pistoni.

Il motore

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Il punto forte della nuova ammiraglia di Arese era considerato il motore V6 da 2.492 cm³ alimentato da sei carburatori monocorpo (con potenza massima di 158 CV), abbinato ad un cambio manuale a cinque rapporti montato in blocco col motore, un raffinato ZF ad H invertita già utilizzato sulla Montreal. A richiesta era disponibile un cambio automatico ZF a tre rapporti. Per quanto riguarda la qualità dell’interno – fermo restando lo stile ed il disegno non più recenti – le finiture venivano comunque giudicate discrete, certamente superiori alla media Alfa Romeo dell’epoca.

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La prova della rivista specializzata Quattroruote mise in luce le buone caratteristiche del motore, il comportamento stradale valido, ma anche i consumi elevati e la linea superata. Uno degli aspetti più criticabili era infatti la tecnologia ormai obsoleta utilizzata per la gestione dell’alimentazione: per ragioni di tempi e costi. B0100

Della prima serie, prodotta fino alla fine del 1982, sono stati costruiti circa 6.000 esemplari.

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